Dopo avere letteralmente divorato questo libro in poco più di 24 ore, mi apprestavo a recensirlo, quando all’ultimo minuto ho deciso di far passare qualche giorno per chiarire un punto di fondamentale importanza che avrebbe potuto pregiudicare l’obiettività dell’intervento: perché siamo di fronte a un romanzo stupendo?
A ben vedere, la trama è essenziale – per forza di cose deludente per chiunque si aspetti un intreccio avviluppato e una narrazione ricca di colpi di scena – e lo stile della Barbery non brilla per brio e originalità. E in effetti non è sicuramente questo il motivo principale che ha reso questo libro un bestseller.
Si potrebbe anche accusare l’autrice – docente universitaria di filosofia – di snobismo letterario e, ovviamente, filosofico. E anche qui non si sarebbe lontani dal vero, dal momento che molte digressioni sul pensiero di Guglielmo d’Occam – giusto per fare un esempio fra tutti – non sembrano aggiungere nulla alla trama.
Ci si potrebbe, infine, spingere fino ad accusare la Barbery di idealismo romantico a buon mercato, visto che nel mondo reale una portinaia è e rimarrà sempre una portinaia che si preoccuperà di più dello stufato sul fuoco che non del cinema giapponese contemporaneo; e una bambina non mediterebbe di suicidarsi per reagire al nichilismo borghese di cui è circondata, ma rimarrebbe fedele alle occupazioni di qualsiasi altra sua coetanea.
Eppure, niente di tutto questo riesce a sminuire la portata di un romanzo a tratti commovente, la cui bellezza forse sta proprio nell’utopia di persone apparentemente normali, perfettamente inquadrabili nel proprio ruolo sociale e definibili secondo immutabili stereotipi millenari, che improvvisamente rivelano di essere in realtà impenetrabili dall’esterno, sfuggendo a ogni facile categorizzazione. Ed è in quel momento che il resto del mondo, che prima sembrava l’unica realtà ad avere un senso, un ordine indiscusso, viene smascherato nella sua fragilità, si scopre vuoto e incapace di conoscere. O forse, meglio ancora, non si scopre affatto vuoto, ma continua a credere di avere la chiave della conoscenza, mentre il Lettore soltanto, nella sua piccola portineria isolata, comprende veramente per cosa vale la pena di vivere. Attraverso i pensieri di una portinaia, di una bambina dodicenne e di un regista giapponese che ascolta il Confutatis mentre espleta le sue funzioni fisiologiche.
So di non essere ancora riuscito a motivare il mio entusiasmo, e probabilmente non ci riuscirò nemmeno, ma se vi ho almeno incuriositi dategli una possibilità e godetevi un romanzo che nella peggiore delle ipotesi vi darà da pensare.