domenica 29 marzo 2009

Diario 1938, Elsa Morante, ed. Einaudi 2005



Roma, 30 luglio
Questa notte ho sognato i fiori rosa.



Diario redatto tra il 19 gennaio e il 30 luglio 1938 che ci permette di fare una passeggiata nella mente e nei sogni notturni di Elsa Morante.


È un diario discontinuo, intervallato da molti vuoti, ma allo stesso tempo unitario e pregnante. Relazione dei sogni che Elsa Morante faceva ogni notte, con tanto di auto-analisi interpretativa. Pare interessante come lei tenda a vedere ogni sogno come un'espiazione di una colpa o come l'immagine di tante piccole umiliazioni subite inconsciamente durante la giornata.

Nell'insieme un bell'esempio di come ci si possa interrogare e autoconoscere anche attraverso la scrittura.

Anche se si tratta di diario personale, abbozzato e non curato nello stile, affiora sempre il suo inconfondibile modo di scrivere e la sua visione poetica del mondo, particolarmente toccante nell'ultimo sogno annotato.

Quello che non capisco mai delle opere che escono postume, è se prima di pubblicare queste cose, i redattori si pongono certe domande etiche. Per esempio se l'autore sarebbe stato d'accordo con l'idea della pubblicazione. Alla fine, si tratta di una cosa da lei scritta all'età di ventisei anni e, dal momento che è morta a settantatré anni, avrebbe avuto il tempo in vita di pubblicarlo, se solo avesse voluto, no?

E poi è qualcosa di veramente informale, una scrittura personale e introspettiva, non ha niente di letterario né di interessante dal punto di vista narrativo. Ci serve soltanto per fare un'incursione nella psiche di Elsa Morante, un'immersione veloce nei suoi pensieri più reconditi. Ma non è un po' morboso tutto ciò?

Nella quarta di copertina s'insiste molto sul fatto che in questo diario ci siano riflessi della sua tormentata relazione con Moravia. Ma interessa veramente sapere della sua vita privata ai fini di capire la sua opera letteraria?

In ogni caso queste pagine sono magnetiche, catturano lo sguardo e non lo lasciano fino all'ultima pagina.

Un'altra cosa interessante sono le auto-censure, i segni diacritci (presenti anche nell'autografo) che indicano la censura di alcune parole o alcuni passaggi che l'autrice ha usato per cancellare i punti più scabrosi. Parti che non sono state riscritte, né rifinite e che sono indice dell'intenso travaglio psicologico che ha probabilmente accompagnato la stesura e la revisione di questo diario.


- Un diario del e dal profondo. Un libro di sogni, senza più distinzione tra veglia e sonno, tra intelligenza della realtà e intelligenza del desiderio... Pagine misteriose, scritte come in trance, sorta di notturna e inconscia "vita nuova" - Cesare Garboli











lunedì 2 marzo 2009

La Mente del Viaggiatore. Dall'Odissea al turismo globale, Eric J. Leed, traduzione di Erica Joy Mannucci, ed. Il Mulino



Avevamo detto che non avremmo messo fra questi libri cose universitarie, scolastiche o letture obbligatorie del genere, ma adesso faccio un’eccezione e vi propongo un libro che ho dovuto leggere per un esame. Si tratta appunto di questo libro di Leed, che è stato inaspettatamente una bellissima scoperta.
Oltre a un’escursione letteraria sulla storia del viaggio e sulla letteratura di viaggio, come suggerisce il sottotitolo, l’autore scrive anche tutt’una parte molto interessante sulla psicologia e su come il viaggio influisca sulla mente del viaggiatore, contribuendo a definirne e cambiarne l’identità. Questa parte, che a mio avviso è la più interessante, si articola principalmente in tre sezioni: partire, transitare e arrivare. Dopo un breve excursus sull’identità dell’uomo che non esiste in quanto tale, ma che è in quanto essere che si relaziona con gli altri, l’autore definisce la partenza come la rottura di un equilibrio e dei rapporti che stabiliscono l’identità di un individuo: è un lasciarsi alle spalle legami e relazioni che lo definiscono, quindi il viaggiatore si rimette in discussione, è tabula rasa. Viene scorporato da ciò che definisce la sua identità. La partenza può avvenire per vari motivi, uno di quelli che mi sono sembrati più affascinanti è l’idea di “negare il tempo attraverso lo spazio”. Ovvero, molti viaggiatori hanno iniziato a viaggiare quando si è prospettata davanti a loro l’anzianità, l’idea della morte imminente, e quindi sono partiti allo sbaraglio per sciogliersi dai rapporti e dall’identità che avevano avuto fino ad allora… per ringiovanire, per creare un’altra vita, costruirsi un altrove.
Poi viene la fase del transito, il movimento continuo, il perpetuo cambiare posto, che toglie la parola e che nella letteratura di viaggio diventa così difficile da descrivere.
Infine l’arrivo, la ricostruzione di un’identità, la raggiunta coesione con un luogo altro.
Leed analizza il viaggio e le sue varie implicazioni dal punto di vista psicologico, fisico, sociale… Sostiene, ad esempio, che la partenza solitamente produce un’alienazione che si può vivere in maniere diverse: può essere terapeutica, quindi vista come la possibilità di trovare la definizione della propria identità, può essere sofferenza e punizione, oppure occasione di “oggettivazione” di sé.
Le separazioni della partenza sono un esperimento morale per determinare quali aspetti
dell’ “io” possano essere lasciati alle spalle con il contesto in cui sono germinati, e quali invece costituiscano i caratteri ineliminabili dell’individualità in movimento. La partenza è un avvenimento capace di migliorare e chiarire i contorni della persona.

Il viaggio libera il girovago dai legami umani cosicché si soffermi per una stagione di transito nella materialità pura di dio e goda di quelle risonanze che si stabiliscono tra i movimenti interiori e quelli esterni e che si sentono solo quando le lingue umane tacciono o dicono cose incomprensibili.