lunedì 2 marzo 2009

La Mente del Viaggiatore. Dall'Odissea al turismo globale, Eric J. Leed, traduzione di Erica Joy Mannucci, ed. Il Mulino



Avevamo detto che non avremmo messo fra questi libri cose universitarie, scolastiche o letture obbligatorie del genere, ma adesso faccio un’eccezione e vi propongo un libro che ho dovuto leggere per un esame. Si tratta appunto di questo libro di Leed, che è stato inaspettatamente una bellissima scoperta.
Oltre a un’escursione letteraria sulla storia del viaggio e sulla letteratura di viaggio, come suggerisce il sottotitolo, l’autore scrive anche tutt’una parte molto interessante sulla psicologia e su come il viaggio influisca sulla mente del viaggiatore, contribuendo a definirne e cambiarne l’identità. Questa parte, che a mio avviso è la più interessante, si articola principalmente in tre sezioni: partire, transitare e arrivare. Dopo un breve excursus sull’identità dell’uomo che non esiste in quanto tale, ma che è in quanto essere che si relaziona con gli altri, l’autore definisce la partenza come la rottura di un equilibrio e dei rapporti che stabiliscono l’identità di un individuo: è un lasciarsi alle spalle legami e relazioni che lo definiscono, quindi il viaggiatore si rimette in discussione, è tabula rasa. Viene scorporato da ciò che definisce la sua identità. La partenza può avvenire per vari motivi, uno di quelli che mi sono sembrati più affascinanti è l’idea di “negare il tempo attraverso lo spazio”. Ovvero, molti viaggiatori hanno iniziato a viaggiare quando si è prospettata davanti a loro l’anzianità, l’idea della morte imminente, e quindi sono partiti allo sbaraglio per sciogliersi dai rapporti e dall’identità che avevano avuto fino ad allora… per ringiovanire, per creare un’altra vita, costruirsi un altrove.
Poi viene la fase del transito, il movimento continuo, il perpetuo cambiare posto, che toglie la parola e che nella letteratura di viaggio diventa così difficile da descrivere.
Infine l’arrivo, la ricostruzione di un’identità, la raggiunta coesione con un luogo altro.
Leed analizza il viaggio e le sue varie implicazioni dal punto di vista psicologico, fisico, sociale… Sostiene, ad esempio, che la partenza solitamente produce un’alienazione che si può vivere in maniere diverse: può essere terapeutica, quindi vista come la possibilità di trovare la definizione della propria identità, può essere sofferenza e punizione, oppure occasione di “oggettivazione” di sé.
Le separazioni della partenza sono un esperimento morale per determinare quali aspetti
dell’ “io” possano essere lasciati alle spalle con il contesto in cui sono germinati, e quali invece costituiscano i caratteri ineliminabili dell’individualità in movimento. La partenza è un avvenimento capace di migliorare e chiarire i contorni della persona.

Il viaggio libera il girovago dai legami umani cosicché si soffermi per una stagione di transito nella materialità pura di dio e goda di quelle risonanze che si stabiliscono tra i movimenti interiori e quelli esterni e che si sentono solo quando le lingue umane tacciono o dicono cose incomprensibili.

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