martedì 7 luglio 2009

Oliver Sacks, Vedere voci (Seeing Voices), trad. di Carla Sborgi, ed. Adelphi, 1990

Vedere voci è uno dei libri più famosi di Oliver Sacks, probabilmente perché, scritto alla fine degli anni ’80, è tuttora considerato la Bibbia della comunità non udente in tutto il mondo. Il mio errore è stato aspettarmi una guida scientifica che trattasse anche a grandi linee le caratteristiche linguistiche della lingua dei segni, quando invece il libro andrebbe letto come una narrazione romanzata – quindi non organizzata cronologicamente o tematicamente – della storia della comunità, statunitense e non.

L’inizio del libro è dedicato alla catena di eventi che ha permesso ai non udenti di prendere consapevolezza delle proprie capacità comunicative mai espresse, attraverso la piena padronanza della lingua dei segni, e successivamente di entrare a far parte della comunità normoudente in un cammino verso l’integrazione non ancora raggiunto. In particolare, negli ultimi secoli si sono scontrate ciclicamente la scuola oralista, che nega che la lingua dei segni possa sostituire pienamente la comunicazione orale ed essere altrettanto espressiva, e il movimento che ha invece reso possibile che l’ASL (American Sign Language) e le altre lingue dei segni venissero riconosciute appunto come lingue vere e proprie. Nella sua narrazione appassionata di scienziato che studia una comunità dall’esterno e finisce per immedesimarsi con le sue esigenze e rivendicazioni, Sacks descrive le profonde conseguenze provocate dall’alternarsi delle due tendenze sull’insegnamento nelle scuole ed istituti per non udenti. Quando sembrava che l’Età dei Lumi avesse ormai aperto la strada all’analisi obiettiva delle potenzialità della comunicazione non orale e i Segni stavano diventando la forma privilegiata di insegnamento e comunicazione nelle scuole per non udenti, una nuova ondata di oscurantismo aveva fatto ripiombare la comunità nel Medioevo, descritto da Sacks con un misto di trasporto emotivo e di indagine clinica condotta con l’occhio del neurologo: sordi, spesso prelinguistici (che non hanno mai appreso l’uso del linguaggio) costretti a produrre e imitare i suoni delle lingue orali per conformarsi a un’ideale di comunicazione privo di alcun fondamento scientifico e privati della forma di espressione per loro più naturale. Interessante anche la descrizione dell’inglese segnato – un’ASL ibrida creata artificialmente ricalcando le strutture sintattiche dell’inglese che, come testimonia emblematicamente il racconto di una coppia con un bambino non udente, si era rivelata decisamente molto meno adatta alla comunicazione dei Segni propriamente detti.

Il romanzo si conclude col resoconto di taglio più giornalistico della rivolta della Gallaudet del 1988, che diventa il simbolo della ribellione di un’intera comunità che si sente ormai autonoma, con pari diritti e capacità rispetto a quella parallela normoudente, ma che paradossalmente non ha ancora potuto governarsi da sola: l’Università Gallaudet non ha mai avuto un rettore sordo. Gli studenti organizzano quindi una mobilitazione senza precedenti per chiedere – e finalmente ottenere – un rettore sordo, dando nuovo impulso ai moti di rivendicazione dei non udenti negli Stati Uniti.

È una lettura che non può sicuramente lasciare indifferenti, soprattutto chi come me non aveva che qualche idea vaga sul mondo dei Segni e su una cultura che pagina dopo pagina si scopre avere le proprie convenzioni e le proprie norme di comportamento. Anche quelle poche nozioni di linguistica trattate da Sacks sono illuminanti, come la descrizione rivoluzionaria della struttura dei Segni formulata da Stokoe, che ne mette in luce la complessità e per la prima volta la analizza come una qualsiasi altra lingua.

Se il libro non risulta un compendio sistematico dei Segni, né può dirsi aggiornato, d’altra parte funge da ottimo stimolo per approfondire l’argomento e prendere in mano qualche libro di linguistica per toccare con mano come funziona il sistema dei Segni.

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